Concita De Gregorio e il politicamente corretto

Hanno suscitato indignazione le parole delle giornalista Concita De Gregorio che sulle pagine del giornale La Repubblica ha raccontato un fatto di cronaca con l’utilizzo di termini ed espressioni che appartengono ad un passato di discriminazione verso persone con neurodivergenze.

 

La Repubblica 04.08.2023 (link – permalink)

Allora dunque ci sono questi cretini integrali, decerebrati assoluti che in un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca. Ecco ci sono questi deficienti, nel senso che letteralmente hanno un deficit cognitivo – non è mica colpa loro, ce l’hanno –  e che però pur essendo idioti hanno probabilmente centinaia o migliaia di followers, non ho controllato ma non importa, è assolutamente possibile che siano idoli della comunità.
Sono influencer, leggo nelle cronache. Insomma ci sono questi influencer, gente che influenza e orienta i comportamenti di altra gente, che per farsi un selfie nel Varesotto, a Viggiù, hanno distrutto una statua ottocentesca. Ma non importano l’epoca né il valore commerciale: poteva essere un Michelangelo, uno Jago. Hanno distrutto un’opera d’arte perché dovevano farsi una foto da postare sui social. C’è il video, prova suprema. Ridono. Probabilmente non succederà niente: i genitori premurosi ripagheranno il danno, o i nonni.
Editorialisti, vi prego. Direttori di giornali e di reti tv, vi supplico. Commissionate alle migliori menti del nostro tempo, filosofi scienziati celebrità pensanti, piccoli monologhi da frazionare su TikTok che spieghino che esistiamo anche se non ci fotografiamo. Come si fa a riavvolgere il nastro di questo delirio: questo sì che è un tema epocale, altro che Pnrr. Genitori: puniteli. Toglietegli le chiavi di casa, negategli la ricarica della prepagata e se guadagnano più di voi e per questo vi intimidiscono, suscitano il vostro rispetto: riprendetevi, toglietegli il sorriso. Io non lo so come si fa, ma si deve.

 

 

 

Tra le prime reazioni quella di Marina Ciferni che dal suo blog ha postato:

Non posso non segnalare l’articolo a firma di Concita De Gregorio sul sito di Repubblica.
Ci sono le manifestazioni, le campagne di sensibilizzazione e biblioteche intere di manuali di ogni genere che dovrebbero aiutare le persone meno sensibili a comprendere come stigmatizzare le problematiche psicosociali sia deleterio per la società stessa. Poi ci sono articoli come questo.
L’insegnante di sostegno secondo l’autrice è una lettera scarlatta, la certezza di un deficit cognitivo, ed oltre ai toni denigratori emerge anche la totale ignoranza sul tema, visto che l’accompagnamento al percorso di studi, può riguardare un periodo limitato di tempo, semplici disturbi specifici dell’apprendimento o neurodivergenze che rappresentano tutt’altro che idiozia, che invece sembra essere certa è motivo di scherno.
Invita infine i genitori a punire i figli schiavi delle tecnologie, che dovrebbero essere puniti da chi? Da chi schernisce il prossimo? Dai portatori sani di stigma sociale?

Interviene sull’argomento anche Davide Faraone Presidente Fondazione Italiana Autismo (FIA) che in un tweet scrive:

A Concita De Gregorio mi piacerebbe offrire soltanto un consiglio: provi a pulire la bocca ad un disabile che sbava e vedrà che non le farà poi così tanto schifo. Le servirà semmai a rispettarlo, a conoscerlo, ad abituarsi alla sua presenza nella società, a mostrare la stessa attenzione che mostra giustamente per la statua ottocentesca distrutta da un influencer senza coscienza. Provi a sillabare con lui così come fanno tanti volontari nel nostro Paese, tanti valorosissimi insegnanti di sostegno, assistenti alla comunicazione, provi a passare un po’ di tempo con loro, così come dedica del tempo ad ammirare un quadro, una statua, un monumento e vedrà che le verrà naturale rispettarli, indignarsi se qualcuno osasse offenderli così come si indigna opportunamente a difesa di un’opera d’arte. Capirà che così come i manicomi, anche le scuole differenziali nel nostro Paese, per fortuna, ce le siamo lasciate alle spalle, proprio per costruire percorsi di inclusione, di scambio tra i ragazzi, che vivono naturalmente la convivenza e mai si sognerebbero di insultare qualcuno paragonandolo al proprio compagno di classe. Le suggerirei anche di frequentare un po’ di mamme e papà di persone con disabilità, la aiuterà a comprendere che “il deficit cognitivo” può portarti a non comprendere un’offesa, “il decerebrato assoluto” può non percepire la violenza fisica o verbale, ma ci sarà chi incasserà per conto loro, chi si sarà sentito umiliato leggendo il suo pezzo.

 

Alle critiche Concita De Gregorio risponde il 05.08.2023 con un altro articolo su La Repubblica intitolato “La morte del contesto” che riportiamo integralmente:

 

**** inserire articolo concita 2 ****

 

Elena Cocca (Bioteticista) sul Fatto Quotidiano del 05.08.2023 (link) scrive:

Concita De Gregorio insulta le persone disabili. E le sue “scuse” dimostrano che non l’ha capito

Stamattina apro Twitter e alcuni miei contatti segnalano l’assurdità di un articolo di Concita De Gregorio uscito su Repubblica. Lo leggo dagli screenshot e mi pare talmente offensivo e scritto con la pancia da convincermi che si tratti di un fake. Mi rifiuto, in quel momento, di credere che una giornalista di tale livello possa lasciarsi andare a parole così vili.
Bastano pochi clic per farmi ricredere. L’articolo è vero, pubblicato da Repubblica su carta e online. L’intento di De Gregorio era quello di denunciare il comportamento di alcuni influencer che hanno distrutto una statua ottocentesca per scattarsi un selfie. La giornalista, però, non solo ha ritenuto opportuno accostare il loro comportamento alle persone disabili (“decerebrate” per la precisione), ma lo ha fatto con una violenza verbale che mostra quanto abilismo abbiamo interiorizzato a causa del trattamento che i disabili hanno ricevuto nella storia del nostro Paese. Abilismo che tentiamo di nascondere e che a volte torna prepotente.
“In un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un’insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca”. Un insulto raccapricciante alle persone disabili e a chi le affianca, che davvero trasuda disprezzo e cattiveria. Dopo aver letto queste righe, scopro che da poco sono uscite le scuse su carta di Concita, mentre online il pezzo è ancora presente in tutte le sue parti, senza correzioni, e continua a essere condiviso come nulla fosse.
Manco a dirlo, la toppa è peggio del buco. Un mix di luoghi comuni (“i cerebrolesi sono persone meravigliose”, scommetto che le conosce tutte), vittimismo e altro linguaggio abilista. De Gregorio usa “normodotati” e “handicap”, diciture che da vent’anni non sono più adottate a livello giuridico e internazionale. Purtroppo, in Italia, facciamo ancora molta fatica a eliminarle dal parlato (insieme a termini che usiamo a stregua di insulto: “mong*lo”, “d*wn”, “ritard*to”, etc); gli insegnanti di sostegno preparati, nelle scuole, ogni giorno tentano di sradicare questa terminologia dalla quotidianità degli adolescenti… eppure da una giornalista mi aspetto il minimo sindacale di attenzione e sensibilità.
E invece Concita (pun intended) nelle sue “scuse” sceglie di incolpare il “politicamente corretto” che “immobilizza il pensiero”, dice lei. Chiedere rispetto per un’intera comunità che è stata letteralmente usata per insultare degli influencer è ora politically correct. Quello fastidioso. Polemiche inutili, insomma, nonostante diverse associazioni di persone disabili, genitori e insegnanti di sostegno abbiano pubblicamente mostrato sdegno verso le parole uscite su Repubblica. La presidente di CoorDown, ad esempio, ha chiesto l’intervento del Comitato di redazione (la rappresentanza sindacale) della testata per denunciare quanto accaduto, proprio come avvenuto poche settimane fa con l’articolo di Alain Elkann sui “lanzichenecchi” in treno, che ha costretto la redazione a dissociarsi.
Cara Concita, hai scritto che per te il politicamente corretto sta paralizzando la sinistra. Per me, invece, a immobilizzare la sinistra dentro un linguaggio che non rappresenta più la realtà che vogliamo e che viviamo sono quelli come te. Sempre a frignare perché imparare le parole giuste è troppo faticoso, chiedere scusa in modo consapevole vorrebbe dire mettersi in discussione e questo – si sa – non è uno sforzo che si fa per una manciata di “decerebrati”, come li chiami tu.

 

 

Documentazione