Sette domande a Carlo Grassi

Genere e lavoro. Un tema di cui si dibatte da decenni. Propongo questa intervista* realizzata da Maurizio Galluzzo coordinatore del progetto Parimpresa a Carlo Grassi, professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Venezia.
È stato Visiting professor presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales. Ha pubblicato studi sul cinema, Tempo e spazio nel cinema; sulla fotografia, Sociologia del dispositivo fotografico e la voce Fotografia nella Letteratura Italiana curata da Alberto Asor Rosa per Einaudi; la monografia Georges Bataille sociologo della conoscenza; il manuale Sociologia della comunicazione.

DOMANDA: Delle differenze di genere tra donne e uomini si è sempre parlato, spesso per luoghi comuni, ma si può dire che questa teoria abbia basi socio-antropologiche sicure?

RlSPOSTA: L’antropologia e la sociologia si sono occupate a lungo delle differenze di genere al punto che tutto un ambito di queste discipline prende il nome di “Gender Studies”.
Naturalmente, le teorie elaborate in merito sono molte e spesso in conflitto tra loro. Io trovo che uno dei punti di vista più interessanti sia quello di Lionel Tiger e Robin Fox: i due studiosi americani che hanno fondato la corrente denominata “bio-antropologia”. In particolare, in un testo di Tiger intitolato “The pursuit of pleasure”, si analizzano i comportamenti maschili e femminili a partire dal bisogno primario di assicurare la propria sopravvivenza in quanto specie. La capacità di sopravvivere dell’uomo e della donna passa per due diverse strategie di riproduzione. In breve, tra i mammiferi, il maschio per propagarsi deve cercare di moltiplicare il più possibile i propri partner. AI contrario, poiché la gestazione è per tutti i mammiferi un processo lungo, complesso e pieno di rischi, la femmina deve ridurre i propri possibili partner e sceglierne uno solo che la protegga durante una fase della vita che la rende particolarmente debole e indifesa. Accade così che non solo nel genere umano, ma anche tra tutti gli altri mammiferi, al maschio venga richiesta un’attività di corteggiamento che rassicuri la sua partner sulle sue intenzioni. Più lungo è il corteggiamento, molti animali praticano delle danze di corteggiamento veramente molto complesse e sofisticate, più la femmina si sente rassicurata sul fatto che durante il periodo di gravidanza, in cui è più debole e fragile, il maschio resti vicino a lei per aiutarla e non corra altrove in cerca di nuove avventure. Queste differenti strategie di sopravvivenza comportano delle prospettive di vita molto diverse e delle culture che spesso possono apparire antagoniste. Secondo quest’ottica, quindi, la lotta tra gli uomini e le donne che, dopo conflitti e dissidi, spesso è coronata dall’amore e dall’accordo, non dipende da motivi solo locali e accidentali, ma è ancorata nelle profondità bio-antropologiche della specie.

D: Quanto ha senso un’operazione che proponga il maschile e il femminile come elemento di ricerca? Cioè ha senso occuparsi delle ricerche di genere?

R: Rispetto a quanto detto più sopra, appare chiaro che la differenza di genere è una variabile determinante e ineliminabile dei processi culturali intesi in senso molto ampio, concernenti cioè non solo l’insieme delle attività artistiche, ma anche quelle economiche e politiche. Realizzare delle ricerche che non solo tengano conto della questione del genere sessuale, ma lo pongano come oggetto principale di studio, è una cosa molto sensata per una ragione fondamentale. Per durare nel tempo, le società devono essere in grado di auto-osservarsi, auto-descriversi e auto-regolarsi. In altri termini, la capacità di padroneggiare un mondo altamente complesso come il nostro, richiede la comprensione delle dinamiche che lo
muovono. Se non si è consapevoli di quali siano le motivazioni e gli obiettivi delle parti sociali, di quali siano le poste in gioco nei conflitti che rendono più difficile la vita delle società, non è in nessun modo possibile regolarne flussi e tensioni. Ogni soggetto sociale fa parte di molteplici cerchie che si sovrappongono e insieme alle quali combatte per affermarsi e primeggiare. Ogni individuo è allo stesso tempo padre/madre, lavoratore in un certo campo, amante di particolari attività, attaccato a speciali tradizioni, ecc. Ognuna di queste qualifiche lo inserisce in una dinamica di competizione/cooperazione con coloro che appartengono a cerchie concorrenti.
Una delle appartenenze primarie che determinano il posizionamento dell’individuo nei luoghi sociali è quella relativa al genere. Tale consapevolezza, che sola consente l’auto-regolazione sociale, implica l’importanza cruciale dei gender studies perché solo dedicando un grande sforzo a capire dove e come le differenze di genere intervengono nella vita sociale, è possibile risolvere una parte dei conflitti che complicano e sconvolgono le nostre attività.

D: Ad un’analisi sulle differenze di genere è utile aggiungere una dimensione territoriale, o di cultura nazionale, che si ripercuote non solo sui valori condivisi, ma anche su una struttura legislativa, una componente sociale, e così via?

R: Lo sforzo di porre le problematiche del genere non più come una variabile accessoria, ma come un elemento cardinale della ricerca sociale, richiede un capovolgimento che consenta di non vederle più alla luce di altre prospettive e conduca, invece, a considerarle come punto di osservazione privilegiato a partire dal quale interpretare tutti gli altri fenomeni. In questo senso è molto giusto affiancarvi questioni come quelle legate alla geografia culturale di un popolo perché un’adeguata conoscenza di ciò che distingue le prospettive più tipicamente femminili da quelle più tipicamente maschili, richiede necessariamente il prendere in conto come le abitudini e le tradizioni particolari di un popolo siano attraversate da questa differenza al punto da darla totalmente per scontata e non riconoscerne più le origini. Queste abitudini e tradizioni non corrispondono a delle verità rivelate, spesso costituiscono un patrimonio importantissimo da cui attingere, altre volte sono ingiuste e non più adeguate alla vita contemporanea, ma in tutti i casi vanno tenute in considerazione per capire come le differenze di genere agiscono nei casi concreti della vita. Infatti, tra le pulsioni antropologiche di fondo che orientano il comportamento umano e le categorie socio-psicologiche in cui tali pulsioni s’incardinano, esiste una dinamica tale che le prime irrorano le seconde, ma non esistono senza di esse e le seconde trasformano le prime senza poterne disinnescare gli effetti. Quando si affrontano le differenze di genere ci si pone su di un livello più profondo il cui influsso interviene sulle condizioni materiali della vita. Proprio per questo, è sicuramente sbagliato limitarsi alle pulsioni profonde senza identificare i luoghi sociali specifici in cui vanno di volta in volta a incorporarsi. Quanto le problematiche di genere influiscano sulle questioni inerenti la geografia culturale risulta evidente, per esempio, in strutture di lavoro dove si trovano a collaborare persone provenienti da Paesi diversi o formatesi in ambienti culturali eterogenei. Solo una valutazione attenta della concezione che le differenti culture hanno di quali siano i ruoli costituzionalmente deputati per uomini e donne, può evitare che si scatenino conflitti distruttivi perché consente di affrontare i problemi alla radice intervenendo prima che si instaurino e si diffondano. Un monitoraggio mirato a descrivere la moltiplicazione delle abitudini culturali permette di non spingere verso l’uniformazione ad un unico modello standard, ma di favorire la valorizzazione delle singolarità e delle specificità. Un altro esempio potrebbe riguardare l’elaborazione di leggi e direttive. Una logica di questo tipo ha prevalso recentemente al Congresso degli Stati Uniti dove la comprensione della diversità dei tempi di maturazione intellettuale di ragazzi e ragazze ha permesso una legiferazione in favore della ricostituzione di classi scolastiche solo maschili e solo femminili.

D: Queste differenze quanto possono influire nei contesti organizzativi e in particolar modo nel mondo del lavoro?

R: II mondo del lavoro costituisce probabilmente lo spazio sociale dove le differenze di genere sono più ignorate e, allo stesso tempo, il luogo dove esercitano in modo più violento i loro effetti. Grazie alla rivoluzione industriale in economia e all’affermarsi dei regimi democratici in politica, la modernità, da un lato, ha portato a una distribuzione più egualitaria delle risorse; e, d’altro lato, ha promosso dei modelli culturali più uniformi e standardizzati. Il soggetto che per 250 anni ha dominato incontestato la scena del mondo moderno è stato quello che il Codice Napoleonico (1800) ha chiamato il “buon padre di famiglia”: un individuo maschio, adulto, bianco, cittadino e possidente.
Tutti coloro che non sono stati in grado di corrispondere a questo modello, da un canto, sono stati discriminati; e, d’altro canto, sono stati spinti a conformarsi ai suoi valori e al suo stile di vita. Tale adeguamento, richiesto in tutti gli ambiti della vita sociale, ha trovato il suo culmine nel mondo del lavoro all’interno del quale ha acquisito un valore maggiormente imperativo. Particolarmente sacrificate da tale obbligo sociale sono apparse le donne. Infatti, tutto quanto concerne il mondo del lavoro, spazi, tempi, rapporti, ritmi, scansioni, dinamiche e processi, è stato rigidamente regolato su tale figura principe. Il risultato è stato che, per lavorare, le donne hanno dovuto adeguarsi al modello maschile in vigore, sacrificando molti dei loro più intimi bisogni e accollandosi un surplus enorme di fatica e di responsabilità. Un’altra possibilità è stata, per loro, di rinunciare a professioni più qualificate e limitare le loro aspirazioni al lavoro di impiegate o all’attività dell’insegnamento. In Italia, per esempio, per favorire questo orientamento si è rinunciato alla scuola a tempo pieno e sono stati pensati degli impieghi pubblici a tempo ridotto con uffici aperti solo la mattina per 5 giorni la settimana. Oggi le cose stanno lentamente cambiando, ma il mondo del lavoro resta il luogo cruciale in cui è urgente monitorare, studiare e analizzare con un’attenzione e un’applicazione molto grandi le differenze di genere. Questo porterebbe un indubbio miglioramento non solo della condizione delle donne, ma anche della capacità produttiva complessiva della società.

D: AIlora si può affermare quello che viene spesso chiamato un “pink job”?

R: Rimettere in discussione la figura del “buon padre di famiglia” come modello unico a cui devono conformarsi tutti coloro che non sono maschi, adulti, bianchi, cittadini e possidenti, non significa necessariamente proporre una divisione del lavoro per compartimenti stagni. Non credo che sarebbe giusto e utile stabilire degli ambiti lavorativi in cui impiegare solo donne e altri destinati solo agli uomini. Il lavoro deve rimanere senza qualifiche: cioè non pink, né blue, né black. Piuttosto quello che è necessario è applicare in modo radicale e fino in fondo il principio di sussidiarietà. Il che significa che la collettività dovrebbe farsi carico in modo molto più esteso delle limitazioni implicate dalle specificità maschili e femminili. Per questo è ancora più necessario che tali specificità siano riconosciute e indagate così da allargare la sussidiarietà in modo mirato e adeguato.

D: Se ci focalizziamo nel settore manageriale del lavoro esiste quindi una specificità del fare impresa?

R: L’attività imprenditoriale si distingue da tutte le altre attività lavorative. Essa, in particolare, offre una più grande auto-determinazione a chi la svolge, anche se al contempo richiede un’auto-disciplina molto più sviluppata. Questo significa che, da una parte, l’imprenditore può in teoria organizzare il suo lavoro adattandolo ai propri bisogni peculiari; e, d’altra parte, che egli è responsabile in prima persona del buon andamento dell’impresa, cosa che regolarmente si traduce in ritmi di lavoro eccezionalmente alti e onerosi. In apparenza, quindi, le donne imprenditrici dovrebbero essere favorite rispetto alle altre perché dovrebbero poter modulare il loro impegno lavorativo secondo i propri privati bisogni. In realtà, al contrario, si trovano largamente svantaggiate da ritmi di lavoro particolarmente invasivi e destrutturanti. La conclusione è che bisogna capovolgere la prospettiva: invece di pensare a come le donne possono svolgere al meglio l’attività imprenditoriale, bisogna capire
piuttosto come tale attività può essere modificata da una visione femminile delle cose. La specificità femminile del fare impresa può divenire così un luogo sperimentale in grado di fungere da modello per molte altre attività. Caratteristiche particolari di tali specificità sono: la decentralizzazione del comando, la differenziazione delle funzioni, la parcellizzazione degli orari e la flessibilizzazione delle mansioni. L’impresa al femminile (1) richiede una maggiore responsabilizzazione non solo del management, ma di tutti i lavoratori perché considera un valore non fare tutte le scelte in prima persona in tutte le fasi del processo produttivo e attribuire la massima capacità decisionale possibile a ognuno; (2) moltiplica le funzioni perché ogni ruolo possa essere ristrutturato a seconda delle condizioni date e dei bisogni dei singoli individui e dell’impresa; (3) suddivide il tempo in modo tale che ognuno possa scegliere la quantità e la qualità del suo impegno e del suo investimento lavorativo; (4) rende più facile la permutabilità delle mansioni perché si possano rapidamente rimodulare gli obiettivi scelti. In definitiva, fare impresa al femminile vuol dire privilegiare il lavoro d’équipe, valorizzare chi vuole fare di più e lasciare spazio a chi ha bisogno di disimpegnarsi per un po’.

D: Alle donne si assegnano delle caratteristiche, agli uomini delle altre, quanto queste caratteristiche influenzano il lavoro e quanto sono influenzate dal clima aziendale?

R: Naturalmente, prima che i valori femminili arrivino a permeare maggiormente di sé il mondo del lavoro ci vorrà del tempo, grandi sforzi, molte battaglie e idee chiare. Per ora, ciò non è ancora realtà, è necessario quindi capire cosa materialmente accade nelle imprese di oggi. Chi attribuisce agli uomini certe caratteristiche e alle donne certe altre, determina con il suo agire alcune delle condizioni in cui costoro si trovano ad operare. Questa attribuzione è in gran parte inconscia e, in tutti i casi, sottomessa a un modello di lavoratore tipicamente maschile. Questo vuol dire che disponiamo di due variabili: una fissa e una dinamica. Le qualità assegnate alle donne costituiscono la variabile fissa perché in generale sono determinate non dai singoli individui, ma dai valori condivisi di una società, che sono dati per acquisiti e mutano molto lentamente. Il clima aziendale costituisce la variabile mobile perché esso non è predeterminato, ma si crea quotidianamente in base ai rapporti di forza in vigore nell’azienda e alle singole personalità di lavoratori e dirigenti. Appare dunque cruciale che le persone, uomini e donne, presenti in azienda, siano stati sensibilizzati alle problematiche di genere sia perché possono modificare in senso positivo i rapporti di forza, sia perché possono organizzare servizi di sussidiarietà che intervengano per migliorare la situazione complessiva.

 

*Intervista raccolta nel 2002 da Maurizio Galluzzo coordinatore del progetto Parimpresa per Ministero del Lavoro, Camere di Commercio, Confindustria, Associazioni sindacali.